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Le vacanze di René - 8


di July64
04.05.2017    |    15.586    |    3 9.5
"Non è una sostanza stupefacente, ma un prodotto assolutamente naturale..."
Le vacanze di René - parte ottava


I polinesiani, ragazze e ragazzi, nuotavano come pesci, senza pinne né maschera, portando, oltre ad un ridottissimo costume da bagno, che copriva l’essenziale, solo una leggera reticella attorcigliata intorno ai fianchi e, rispetto a me, resistevano almeno il doppio del tempo sott’acqua senza doversi rifornire di aria. Sul fondale, che non era più profondo di tre–quattro metri, si stendeva, sopra un tappeto di sabbia bianchissima, una vegetazione di alghe in tutte le sfumature di verde, dalla quale facevano capolino le anemoni di mare, coloratissime e i rossi pomodori marini.

Seguii gli isolani, cercando di imitarli, poiché non conoscevo le tecniche di raccolta delle ostriche. I ragazzi, ma nondimeno le ragazze, sembravano invece molto abili ad aprire con le mani quella chioma verde formata dalle alghe e, se non trovavano nulla, si spostavano veloci in un’altra zona vicina. Fui costretto a risalire perché ero in debito di ossigeno, presi aria e dopo una intensa iperventilazione mi rituffai insieme ad una ragazza che avevo notato prima nel villaggio. Era davvero notevole: poteva avere la mia età e, come le sue coetanee, un corpo ben fatto, non tozzo come tante maori, ma con gambe affusolate, evidentemente allenatissime al nuoto e soprattutto, un colore della pelle meraviglioso, come un’ambra luminosa, e gli occhi nerissimi.

Aveva la capacità, oltre che di tenere gli occhi aperti, quella di sorridere in acqua. Sensazionale! Mi precedeva ed io potevo avere una visione completa delle sue bellissime gambe che la spingevano verso il fondo e del suo culetto rotondo appena coperto dal perizoma attorno al quale era avvolta la reticella nella quale avrebbe dovuto essere riposto il “bottino” di ostriche. Girò la testa verso di me e mi invitò a seguirla nell’acqua così luminosa, a causa dei raggi solari, che sembrava vi fosse acceso dentro un faro.

Raggiungemmo insieme il fondo ed io cominciai a cercare tra le alghe, imitando i suoi movimenti svelti e leggeri. Avevo ancora riserva di aria, grazie alla iperventilazione, e mi spostavo di fianco a lei, sfiorandola con il mio corpo. Ad un certo punto lei mi indicò il fondo, segno che aveva trovato qualcosa: cercò tra le alghe ed estrasse un’ostrica, più grande della sua mano.

Io ero abituato a quelle che in Francia siamo soliti consumare, ma questa, come quelle che ci aveva offerto il capo villaggio, era grande almeno il doppio. Imitai la ragazza e, tra le alghe, cominciai a trovare qualcosa: una, due ostriche. Le passai alla ragazza, che mi sorrise, facendo mi il segno di “ok” con il pollice e l’indice uniti e le infilò nella reticella.

Realizzai all’improvviso che l’eccitazione di aver trovato le mie prime ostriche mi aveva fatto dimenticare la mia apnea e risalii immediatamente: meno male che il mare era poco profondo. La mia compagna mi seguì, anche se pensai che non avesse bisogno di aria come me e ci ritrovammo entrambi a pelo d’acqua, sorridenti.

“Bravissimo” mi disse con entusiasmo “hai imparato prestissimo, sei un pescatore di perle molto abile!”

“Grazie a te” le risposi sinceramente e non per ricambiarle il complimento, “ma se non mi avessi insegnato tu come fare, a quest’ora starei ancora cercando, non so che cosa. E poi mi hai chiamato pescatore di perle. Ma secondo te in qualche ostrica troveremo una perla?” "Certamente sì" mi rispose lei con un sorriso disarmante.
Le feci una leggera carezza sui capelli nerissimi, poi le dissi: “Ritorniamo giù?”

“Ci hai preso davvero gusto” mi rispose lei “dai, andiamo”.

Ricominciai l’iperventilazione, poi mi interruppi. Lei mi guardò con aria interrogativa. “No, nulla” risposi io “volevo soltanto chiedere il tuo nome, io mi chiamo René.”

“Loanai”, mi rispose con un sorriso.

“Il tuo nome è come una musica” le dissi.

“Grazie”, mi rispose, sorridendo e subito si rituffò.

Mi affrettai a raggiungerla: era bellissima, si muoveva sott’acqua come se volasse.

Continuammo a cercare e ogni volta che ci immergevamo la reticella si arricchiva di altri esemplari di ostriche. Il mare era così limpido che ci consentiva di vedere i movimenti dei nostri compagni, degli isolani, delle mie zie, di Annette, che non aveva perso l’occasione di immergersi in compagnia di un muscoloso isolano, al quale era attaccata, appunto, come un’ostrica sul fondo del mare.

Ci immergemmo ancora per circa un’ora. La reticella portata da Loanai era ricolma di ostriche: era giunto il momento di ritornare sulla spiaggia. Il sole era quasi al tramonto e raggi dorati facevano assumere al mare colorazioni diverse, in tutte le sfumature dell’azzurro. Giungemmo sulla spiaggia bianca. Io mi lasciai cadere sulla sabbia candida e Loanai sedette vicino a me. Le guardai il volto: era davvero bella. Aveva lineamenti fini e regolari, un nasino all'insù perfetto e labbra molto carnose. Quando tutti giunsero sulla spiaggia le ostriche raccolte furono riversate su di un grande telo a rete che una ragazza aveva disteso sulla sabbia. Era stata una pesca davvero abbondante.

Dopo alcuni attimi si avvicinarono gli altri ragazzi e sedettero vicino a noi. Il chiacchiericcio delle ragazze era come un cinguettio, ma per rispetto agli ospiti ripresero a parlare francese anche tra loro. Sembravano tutti quanti molto amici, ma tra alcuni di loro era evidente un legame sentimentale molto forte: lo si notava dagli sguardi, da come si toccavano, da una confidenza particolare.

Chiesi a Loanai se fossero fidanzati e se anche lei avesse un fidanzato, quasi scusandomi per averla costretta a farmi compagnia rinunciando alla sua.

“No, nulla di tutto questo” mi rispose, con aria comprensiva “non siamo poligami, ma non abbiamo nemmeno un principio di esclusiva sentimentale. Conosco le abitudini della tua terra, e ti assicuro che le nostre non sono del tutto diverse. Ma i nostri usi differiscono per la maggiore libertà, nel senso che fino al matrimonio, che ci vede rigorosamente monogami, possiamo scegliere di stare con chi ci piace di più. Vedi, a me piace Noami, quel giovane alto che sta tenendo compagnia a tua zia, ma non pretendo nessuna esclusiva da lui.
Alla nostra gente il sentimento della gelosia è completamente sconosciuto.”

In effetti vedevo che zia Juliette aveva gli occhi incollati a quelli del giovane e gli accarezzava dolcemente il petto bagnato. E sembrava che a Noami quel trattamento non dispiacesse affatto.

Anche zio Marcel si era sdraiato accanto a due ragazze, che ridevano ascoltando qualcuna delle sue storie spiritose.

L’atmosfera non era satura di erotismo come quella della notte scorsa, ma era comunque carica di significati inequivocabili, inespressi, ma latenti come fuoco sotto la cenere. La stanchezza del bagno prolungato e la soddisfazione per la raccolta delle ostriche pareva avessero intriso di languore tutto il gruppo, disteso sulla sabbia calda e bianchissima.

La vicinanza di Loanai, ma soprattutto la sua delicata ma intensa carica erotica, mi avevano provocato una visibile erezione. La ragazza se ne accorse e mi guardò con un sorriso. “Sei eccitato! Ma sono forse io a farti questo effetto?”

“E chi altri? Non vedo altre ragazze, qui accanto a me” le risposi un po’ imbarazzato. “Scusami, ma tu sei così bella e dolce…”

“Guanìa, Neali !” chiamò con voce bassa e dolce Loanai. Staccandosi dal gruppo si avvicinarono altre due ragazze, non belle quanto Loanai, ma altrettanto piacevoli e sorridenti. Le giovani si accoccolarono vicino alla loro amica.

“Al nostro ospite la raccolta delle ostriche ha fatto un effetto speciale… e senza che abbia ancora assaggiato il frutto dell’amore !” disse con un sorriso Loanai, rivolta alle sue compagne, alle quali stava indicando il rigonfiamento che, ad onta dell’imbarazzo che provavo, diveniva sempre più evidente. Le due ragazze, con un sorriso dolcissimo, mi presero ognuna per una mano e mi fecero sollevare, poi mi accompagnarono, tirandomi leggermente, lontano dal gruppo disteso sulla sabbia, dietro una duna. Le seguivo docilmente, come ipnotizzato dai loro sorrisi, dai corpi dorati seminudi che luccicavano ancora al sole del tramonto, dal contatto delle loro mani calde sulle mie.

Scavalcata una duna piena di vegetazione profumata, ci inoltrammo, io e le tre ragazze, verso una boscaglia non molto fitta; dopo aver percorso circa duecento metri scorsi una radura, al centro della quale sorgeva una capanna con il tetto formato da enormi foglie di palma, che assicuravano un’ombra quasi totale all’interno del tucul. Le ragazze mi fecero entrare e mentre Neali e Guanìa mi tenevano compagnia, Loanai scomparve.

Eravamo tutti e tre seduti sulle ginocchia, nel fresco della capanna. Io sinceramente non sapevo come intavolare un discorso con quelle ragazze sino a qualche istante prima per me del tutto sconosciute, ma loro sinceramente facevano di tutto per mettermi a mio agio, con i loro sorrisi ed una sincera manifestazione di disponibilità che traspariva dai loro volti.

Non passarono nemmeno cinque minuti che Loanai rientrò tenendo in mano una foglia, simile ad un vassoio, ricolma di frutti rossi, che rassomigliavano ai corbezzoli. Porse il vassoio a me, perché ne prendessi, ma io, con fare galante, lo passai alle ragazze, perché si servissero prima di me. Mamma ci teneva molto che io fossi una persona educata in ogni situazione. Le ragazze mi ringraziarono ed anche Loanai iniziò a mangiare: i frutti erano dolcissimi, il loro sapore era simile ad un’essenza concentrata di cocco, fragole e prugne, ma molto più buono, dolce ma non troppo, un vero frutto tropicale mangiato ai tropici. Noi europei eravamo abituati a mango e papaia con il sapore del sedano, perché erano frutti colti troppo acerbi per gustarne il vero aroma. Ne mangiai uno, due, poi altri ancora, imitato dalle ragazze, che mostravano di gradirli tantissimo.

Ci fermammo soltanto quando la foglia–vassoio non ne contenne più alcuno. Conservavo ancora in bocca il sapore dolcissimo dei frutti. Chiesi a Loanai: “Potrei portarne qualcuno con me quando andrò via?”

“Certamente” mi rispose lei, con un sorriso. “Ne potrai portare via con te quanti ne vorrai, qui crescono in grande quantità, anche spontaneamente, e ti darò anche dei semi, che potrai utilizzare in molti modi, non ultimo quello più naturale, cioè interrarli ed ottenere delle piante che produrranno altri frutti. Dovrebbero attecchire bene anche nel tuo paese. Le piante crescono e si diffondono con grande facilità.”

Non mi pareva vero: un frutto talmente buono e così facile da far nascere e da coltivare!

Mentre pensavo a come mettere a dimora le piante nel nostro giardino di Parigi, cominciai ad avvertire una strana sensazione che mi pervadeva, un intenso calore che si irradiava dallo stomaco a tutto il corpo, formicolante, piacevole, stimolante. Sentivo che le mie guance stavano divenendo paonazze non solo per il calore che avvertivo toccandole, ma soprattutto per i risolini che le ragazze si scambiavano mentre mi guardavano. Quella sensazione stava riempiendo il mio corpo ad ondate successive sempre più imponenti.

Sinceramente iniziai a preoccuparmi di aver fatto una indigestione di frutta, ma Loanai mi tranquillizzò: “Non aver timore, René, noi lo chiamiamo “riali”, il frutto dell’amore. E’ divertentissimo subirne gli effetti. Non è una sostanza stupefacente, ma un prodotto assolutamente naturale. E’ lo stimolo più efficace, per chi ne ha bisogno, per essere molto teneri con i propri innamorati ed è anche un aiuto per chi ha problemi appunto con i propri partners. E’ efficace per gli uomini come per le donne. E’ un innocuo, ma potente afrodisiaco!”.


Fine capitolo 8
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